Gli impianti per il trattamento delle acque reflue in Italia sono pochi e non sempre funzionano bene. Se ne rende conto l’Unione Europea che rileva il mancato rispetto della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane. Una condanna era già arrivata nell’ottobre 2021, un ultimo deferimento risale a giugno 2023.
Un problema mai risolto quello delle irregolarità in 900 comuni da duemila abitanti in su. Il prezzo è quello di acqua urbana sporca ed inquinata in natura (campi, fiumi). Gli sforzi profusi finora dalle autorità italiane sono stati reputati insufficienti e pertanto l’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
60 milioni di euro l’anno di sanzioni per 75 agglomerati non depurati e connessi alla prima delle procedure di infrazione. Lo ha sottolineato il Commissario Unico per la Depurazione Maurizio Giugni. Il danno per l’ambiente è enorme e concentrato nelle Regioni del Mezzogiorno.
La struttura commissariale guidata da Maurizio Giugni sta così seguendo 97 interventi per un totale di tre miliardi di euro di investimento.
La regolazione europea ha affrontato il tema dell’inquinamento da acque reflue urbane imponendo un monitoraggio costante delle concentrazioni di sostanze potenzialmente dannose per la salute umana. Dal 1991 la Direttiva del Consiglio europeo 91/271/EEC o “Urban Waste Water Directive (UWWD)” disciplina il trattamento delle acque reflue in ambito comunitario promuovendo il corretto smaltimento delle acque reflue urbane per evitare che la loro re-immissione in natura possa causare impatti negativi sugli ecosistemi.
“Chi inquina paga”
La Commissione UE evidenzia come al settore farmaceutico e della cosmesi è riconducibile il 92% del carico di sostanze tossiche (toxic load) presente nelle acque reflue. Tra i settori inquinanti non è stato inserito il tessile, anche se a causa del solo lavaggio di vestiti vengono rilasciate ogni anno nei mari mezzo milione di tonnellate di microfibre. Se il 60% dei consumi energetici del servizio idrico integrato origina dalla attività di acquedotto, captazione, potabilizzazione e pompaggi, la depurazione contribuisce per una quota pari al 30% in ragione dell’energia utilizzata per alimentare gli impianti di aerazione e movimentazione dei reflui e dei fanghi.
Si potrebbe cogliere, dunque, una possibilità di innovazione per efficientare i consumi energetici del settore della depurazione attraverso tecnologie meno energivore. Contemporaneamente si profila la necessità di investire in fonti di energia rinnovabile al fine di garantirne il bilanciamento.
Potrebbe essere possibile raggiungere la neutralità energetica con l’acquisto di energia rinnovabile da fornitori certificati o attraverso altre misure di compensazione riconosciute a livello nazionale ed europeo.
Riutilizzo delle acque reflue in agricoltura?
Le acque reflue anziché costare 60 milioni di euro l’anno potrebbero, al contrario, costituire una risorsa. Come? Grazie al loro riutilizzo in agricoltura, tramite un adeguato intervento sui depuratori già esistenti.
La corretta lavorazione delle acque e dei fanghi di risulta consente non soltanto di recuperare risorse primarie in campo idrico ed energetico. Anche d favorire la rigenerazione del suolo.
Si rammenta inoltre come, a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n.59/2013 relativo all’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA), sia obbligatorio, inoltre, presentare le nuove autorizzazioni e le istanze di rinnovo delle autorizzazioni agli scarichi ad esclusione degli scarichi di acque reflue urbane.
Esse, difatti, necessitano di un trattamento di depurazione prima di poter essere reimmesse nell’ambiente o riutilizzate.
Le sanzioni riguardanti gli scarichi idrici vengono espresse nel titolo V della parte terza del D.Lgs 152/2006 e variano in base al tipo e alla gravità dell’illecito.
Tuttavia il decreto specifica che la sanzione sarà diminuita di due terzi nel caso in cui il condannato, prima dell’effettiva condanna, abbia riparato interamente al danno apportato.
Diverse dunque, le ragioni in base alle quali conviene investire su interventi che agiscano sui depuratori esistente. Scaricare acque reflue costa troppo. Riutilizzarle in agricoltura, recuperando risorse primarie in campo idrico ed energetico e favorendo la rigenerazione del suolo conviene di più.
Maria Chiara Di Carlo