Quando si parla di economia circolare, si pensa subito alla parola “riciclo”. Un’attività senz’altro fondamentale alla base della quale c’è la creazione di rifiuti, che vengono poi reimmessi nel ciclo produttivo per essere trasformati in nuovi prodotti. La stessa Commissione europea, attraverso un programma quadro relativo alla sostenibilità, identifica però quelle di prevenzione dei rifiuti come attività da incoraggiare rispetto al riciclo. Cosa significa? Semplice, che oggi la sfida dell’economia circolare si gioca anche lungo tutta la filiera della catena del valore. E, per la precisione, nell’ambito degli industrial byproduct. I classici “scarti di lavorazione”, per dirla in modo semplice. Quei residui, insomma, che numerose aziende, almeno fino a oggi, hanno preferito spesso smaltire come rifiuti tout court anziché provare a riutilizzare, con conseguenze gravi per l’ambiente.
A contribuire a velocizzare il cambio di scenario anche in Italia è l’entrata in vigore di una normativa sugli acquisti della Pubblica Amministrazione (e non solo) che mette ora sullo stesso piano sottoprodotti e plastica riciclata. Tutto questo riguarda i materiali che, in campo edilizio, rispondono ai criteri ambientali minimi relativi al cosiddetto “green public procurement”, ovvero i requisiti definiti per le varie fasi del processo di acquisto al fine di individuare la soluzione migliore sotto il profilo ambientale lungo tutto il ciclo di vita del prodotto. Ricorrere ai sottoprodotti si trasforma così a tutti gli effetti, sostanziali e burocratici, in una scelta che contribuisce a salvaguardare l’ambiente in modo efficace.
E diventa, a questo punto, quanto mai centrale riuscire a valorizzare al massimo l’enorme quantità di residui che si generano durante le diverse attività di produzione, in particolare proprio nel mondo dell’industria dei materiali plastici. Per farsi un’idea dei numeri in gioco, si consideri che in Europa vengono trasformate circa 50 milioni di tonnellate di plastica all’anno (fonte Plasticseurope) e che la quantità di sottoprodotti generati è compresa in un range che va dal 2 al 10 per cento (in funzione della tipologia di processo industriale). Si parla dunque, come minimo, di almeno un milione di tonnellate di potenziali sottoprodotti.
L’obiettivo delle aziende è ora quello di qualificare formalmente questi residui dell’industrial byproduct come sottoprodotti, in modo che dopo un processo di macinatura, siano nuovamente utilizzabili per la realizzazione di semilavorati o prodotti finiti in plastica. Ed è esattamente questo lo scopo di Certified Plastic Byproduct®, il nuovo servizio tecnologico che garantisce l’identificazione e la corretta gestione dei sottoprodotti in plastica. Grazie alla tecnologia blockchain è possibile registrare in modo univoco, immutabile e verificabile (sempre, da chiunque e in ogni parte del mondo) le dichiarazioni che qualificano gli scarti di produzione come sottoprodotti, incoraggiando così le aziende a riutilizzare questi materiali.
“Dopo Certified Recycled Plastic, che permette di tracciare la plastica riciclata attraverso un semplice QR Code”, sottolinea Riccardo Parrini, CEO di PlasticFinder, il marketplace della plastica attivo dal 2017, “mettiamo a disposizione della filiera un nuovo strumento, con un funzionamento del tutto simile, che consente di identificare e tracciare i sottoprodotti nel rispetto della normativa comunitaria e italiana. Si tratta di uno straordinario passo in avanti per l’intero settore, che in questo modo può diventare ancora più trasparente, efficiente e sostenibile. Certified Plastic Byproduct è online con un portale dedicato e navigabile da tutti”.
I vantaggi per le imprese sono evidenti: “Con il servizio Certified Plastic Byproduct di PlasticFinder si evitano i problemi pratici e burocratici che la gestione dei sottoprodotti dell’industrial buproduct comporta”, aggiunge Stefano Chiaramondia, Presidente di PlasticFinder. “Difficoltà e disagi che spesso portano le aziende alla decisione di considerarli alla stregua di rifiuti e, dunque, a disfarsene, anziché a riutilizzarli come materiali per nuove produzioni. Rimettere in circolo materiale di scarto è strategico e consente di abbracciare l’economia circolare e promuovere il business sostenibile. Questo nuovo servizio è totalmente svincolato dal portale marketplace PlasticFinder e può essere utilizzato da qualsiasi azienda generi scarti di materiali plastici. Abbiamo stipulato un primo accordo di collaborazione con una importante multinazionale, il principale produttore internazionale di resine in poliammide 66. L’interesse del mercato è grande, perché è sulla sostenibilità che si gioca la sfida di tutte le nostre aziende per la costruzione di un mondo migliore”.